A proposito della poco nota pala marmorea opistografa dell'abbazia di Montevergine

Rosanna De Gennaro
Nell'abbazia di Montevergine (Avellino), al centro della cappella nella testata settentrionale del transetto già di patronato della famiglia Di Capua, troneggia su un altare di marmi mischi di chiaro gusto barocco, entro un più antico ciborio medievale, una poco nota pala di marmo con tabernacolo eucaristico, i cui caratteri stilistici rimandano alla prima metà del XVI secolo. Sappiamo dalle fonti che in origine l'ancona era collocata sull'altare maggiore del santuario in uno spazio che ne valorizzava la singolare struttura opistografa, e che l'odierna sistemazione trova il suo antefatto nel crollo della copertura voltata della chiesa, avvenuto il 2 agosto 1629 in seguito a lavori di ristrutturazione promossi dall'abate Piero Danuscio.


L'articolo, facendo propri i suggerimenti di precedenti contributi, affronta innanzitutto la questione della committenza del marmo evidentemente legata alla famiglia Di Capua, come indicano l'epigrafe sull'architrave e gli stemmi alla base del prospetto anteriore, per giungere a formulare un'ipotesi di paternità. In particolare, si riconosce a Luigi III di Capua (ottavo conte di Altavilla), richiamato nell'iscrizione, il ruolo non secondario di primo anello della catena familiare che, a partire dagli ultimi decenni del Quattrocento, portò alla realizzazione dell'originario altare maggiore; mentre sarebbe stato il discendente Luigi Martino (decimo conte di Altavilla) a concludere l'impresa con l'inserimento dell'ancona eucaristica, indicativamente entro il secondo quarto del Cinquecento. Si conclude che tale ricostruzione cronologica consente di innestare con maggior convinzione i caratteri stilistici del manufatto nella consolidata attività di Giovanni Marigliano da Nola, coinvolto in altre occasioni dagli Altavilla, e della sua bottega, nella fattispecie dei suoi due epigoni maggiori: Annibale Caccavello e Giovan Domenico D'Auria.

Indice

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